Bologna fu la sede templare più importante d’Italia, a capo della “provincia” del nord Italia. La storia templare della città fu però colpita da una feroce “damnatio memoriae” e per secoli si cercò di cancellarne tutte le tracce ed anche di rimuoverne il ricordo dalla storia. L’organizzazione del Tempio in Italia si basava su due province: una al nord, detta provincia di Lombardia, che comprendeva anche la Sardegna e faceva capo a Bologna, e una al sud, detta provincia di Apulia che faceva capo alla commenda di Monte Sant’Angelo. Roma non era soggetta a tali suddivisioni territoriali. I Templari arrivarono a Bologna nel 1161 e stabilirono la loro sede in strada Maggiore, tra vicolo Malgrado a via Torleone. L’entrata principale corrispondeva a quello che è oggi Palazzo Scaroli, in strada Maggiore n.80, vicino al monastero di Santa Caterina. Il Tempio a Bologna possedeva, fuori città, la più bella Commanderia del Nord Italia, il Cenobio di San Vittore, sui colli bolognesi. Il termine moderno ‘Commendatore’ deriva dal titolo del capo della Commanderia. Il termine era in uso sia tra i Templari che tra gli Ospitalieri. Il Tempio possedeva inoltre 4 chiese nel centro di Bologna, di cui 3 in Strada Maggiore, molti terreni e vari palazzi. Appena a ridosso del centro città, era stata costruita, quasi mille anni prima, una Gerusalemme in miniatura, ancora oggi nota con questo nome, intorno al complesso di Santo Stefano, che non era di proprietà templare ma che i Templari rivitalizzarono con i loro rapporti con la Terrasanta.
In centro città, vicino alle Due Torri, sempre in strada Maggiore vi era la Precettoria di Santa Maria del Tempio che fu rasa al suolo nel 1805, negli anni napoleonici, per le leggende che volevano che qui fosse sepolto il tesoro dei Templari. Analoga sorte toccò alla Torre di Santa Maria del Tempio, demolita nel 1825 per ordine di Luigi Aldini che riteneva vi si trovassero monete e reperti mai ufficialmente recuperati. Relativamente alla torre è ricordato un fatto di grande rilievo ingegneristico. Nel 1445 l’architetto Aristotele Fioravanti la trasportò per 35 pertiche, sollevandola su appositi elementi di alaggio. In via dei Pignattari, dove oggi è la basilica di San Petronio, vi era la chiesa di Santa Croce, che fu demolita proprio per costruire la basilica. La zona era di proprietà templare fino all’attuale chiesa di San Giovanni Battista dei Celestini. Nel Concilio di Vienne nel 1308 il Papa incaricò gli inquisitori domenicani locali di sequestrarne ed amministrarne i beni. A Bologna, i domenicani erano una presenza attiva e radicata, anche perché il loro fondatore, San Domenico, morto diversi decenni prima, nel 1221,era sepolto proprio qui, nella Basilica che porta il suo nome. L’incarico di prendere immediatamente in carico i beni dell’ordine fu affidato al dominicano Nicolò Tascherio, inquisitore per Bologna e la Lombardia inferiore (l’Emilia allora era indicata spesso come Lombardia). Il processo ai Templari fu però affidato non agli inquisitori ma ai vescovi locali e, per Bologna, all’arcivescovo di Ravenna, Rinaldo da Concorrezzo. L’azione degli inquisitori per il sequestro dei beni fu repentina, non altrettanto può dirsi per l’opera di Rinaldo che, occupato in altre faccende, non fece nulla fino al 1309.
Nel settembre 1309 cominciò formalmente a Bologna il processo per i Templari della Lombardia inferiore, Ravenna e Toscana, presenti i vescovi di Cremona e Pisa, oltre ovviamente a Rinaldo. Ma fu solo il 25 novembre del 1310, giorno di Santa Caterina, che l’arcivescovo Rinaldo di Concorrezzo invitò tutti gli inquisitori francescani e dominicani a presentarsi alla prima seduta del processo per la provincia di Bologna fissata per il 3 gennaio 1311. Dopo solo 3 giorni, il 6 gennaio, la seduta fu aggiornata all’1 giugno successivo, che si tenne questa volta a Ravenna. Il 17 giugno 1311 si arrivò alla prima vera seduta del processo. Furono portati a Ravenna i Cavalieri Bartolomeo Tencarari, Alberto degli Arienti, Pietro da Monte Acuto, Alberto da Brezano, Giovanni Bono ed il faentino Gerardo da Bologna. Da alcuni Pietro da Monte Acuto è confuso con il maggiore Pietro da Montecucco, l’avvocato dei Templari a Parigi. La forzata sovrapposizione dei due personaggi nasce, oltre da uno scarso discernimento, dauna somiglianza nella grafia medioevale tra Pietro di MonteCucco, l’avvocato, e Pietro da Monte Chuto, un frate “ragionerie” che sovraintendeva alle proprietà templari bolognesi. Monte Acuto è un villaggio fortificato situato tra i territori bolognesi e la Toscana e che nulla ha a che vedere con i MonCucco. In ogni caso, se a Bologna fosse stato presente l’ultimo capo templare, fuggito dalle prigioni parigine un anno prima e condannato in contumacia, il processo avrebbe avuto ben altra risonanza. Nel processo l’inquisitore francescano sostenne la piena innocenza dei cavalieri templari mentre quello dominicano la loro colpevolezza. Gli inquisitori domenicani, Nicolò da Ripatransone e Giovanni de’ Pizigoti, espressero formale dissenso per il criterio di mitezza con cui l’Arcivescovo Rinaldo da Concorrezzo informò il processo. La tortura infatti non venne qui applicata a differenza di quanto accadde altrove. Il processo comunque non riguardava le eventuali colpe dell’Ordine ma aveva autorità solo sui singoli imputati. Il 21 giugno 1311 l’ArcivescovoRinaldo de Concorrezzo ordinò ai templari bolognesi (e della bassa Lombardia) di ritornare alle rispettive città e di presentarsi ai loro rispettivi vescovi per essere sottoposti a “purgazione”. Si trattava, nei fatti, di una totale assoluzione.
Con una sollecitudine insospettabile per i tempi, il Papa il 27 giugno 1311 scrisse a tutti membri delle commissioni dell’Italia settentrionale, ed in particolare al Concorrezzo, accusandolo di non aver istruito il processo con la necessaria accuratezza ed ordinando di riavvirlo al più presto. Gli arcivescovi di Pisa e Firenze obbedirono, torturando i Cavalieri sotto il comando del dominicano Pietro Giudice il Romano. Contrariamente ai suoi colleghi, Rinaldo di Concorrezzo non diede alcun seguito alla intimazione papale ed i templari bolognesi vennero rimessi in libertà. L’anno successivo il 2 maggio 1312, con la Bolla Papale “Ad providam Christi vicarii”, Clemente V dava diposizione che, in ogni parte d’Europa, i beni dei Templari fossero trasferiti ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (cioè gli Ospitalieri, i futuri Cavalieri di Malta). A Bologna, le operazioni di consegna dei beni furono effettuate regolarmente secondo le disposizioni papali e sono comprovate da un atto rinvenuto nel 2001 presso l’Archivio di Stato di Bologna, in cui Pietro da Monte Chuto, il quasi omonimo del grande Pietro da Bologna, precettore dei templari di Bologna e Modena consegnava i beni templari a Frate Giovanni, vice priore per Venezia dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. L’atto è datato 8 ottobre 1313.
I beni templari qui censiti erano notevoli. Oltre a centinaia di acri di terreni, vi erano quattro chiese ed annessi in Bologna:
La chiesa di Santa Croce; La chiesa di Santa Maria Maddalena de Turlionibis; La Chiesa di San Giovanni Battista; La chiesa di Santa Maria del Tempio.
Sia la chiesa di Santa Maria del Tempio che quelle di Santa Maria Maddalena che di San Giovanni Battista erano in strada Maggiore,mentre quella di Santa Croce era dove oggi è San Petronio. Non si faceva menzione del Cenobio di San Vittore.