La Gerusalemme di Bologna: le Sette Chiese ed il Sepolcro che non ha un cadavere.
L’attuale complesso di Santo Stefano, nella omonima piazza, è il centro della Sancta Jerusalem Bononiensis. La tradizione indica in San Petronio l’ideatore della basilica, che voleva imitare il Santo Sepolcro di Gerusalemme, cosicché i Bolognesi ed i pellegrini potessero ripercorrere le tappe del Calvario di Cristo senza dover affrontare il lungo e pericoloso viaggio fino a Gerusalemme. Petronio volle essere sepolto proprio qui e qui è rimasto fino all’anno 2000. La Chiesa fu edificata sopra un preesistente tempio dedicato ad Iside Vincitrice,come rileva una iscrizione di marmo, trovata nella piazza nel XIII secolo ed oggi murata su un fianco della Chiesa del Crocifisso e che risale presumibilmente al I secolo d.c. Del tempio isiaco rimangono alcune colonne marmoree nella Chiesa del Santo Sepolcro, mai rimosse dalla loro sede, e la fonte di acqua miracolosa che anticamente rappresentava il Nilo e successivamente il Giordano. I Cristiani utilizzarono gli edifici pagani per i loro culti a partire dal IV secolo quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’impero e cercarono, per aumentare la facilità di adesione alla nuova religione dei pagani, di mantenere una certa corrispondenza tra il vecchio ed il nuovo. Se normalmente i templi di Iside vennero dedicati alla Madonna o alla Maddalena, nel caso delle Sette Chiese invece il complesso fu intitolato a Santo Stefano, il primo martirecristiano, il cui nome in greco significa“Corona di Vittoria”, ricordando così Iside Vittoriosa. Il primo nucleo dell’edificio cristiano fu l’edificio rotondo che era stato il centro del tempio isiaco e che è oggi è la Chiesa del Santo Sepolcro. Esso rimane l’edificio di maggiore importanza dell’intero complesso. Nel 393 d.c., in un cimitero ebraico sito nelle vicinanze, all’inizio dell’attuale Strada Maggiore, vennero ritrovati, presente Sant’Ambrogio, i corpi di Vitale ed Agricola, i primi martiri bolognesi di cui si ha notizia. Vitale ed Agricola furono martirizzati nella persecuzione di Diocleziano, nell’anfiteatro bolognese (situato nelle vicinanze di Santo Stefano, all’inizio di via San Vitale, dove sorge oggi la Chiesa dei Santi Vitale ed Agricola in Arena). La scoperta avvenne sulla scia dell’analogo ritrovamento che Sant’Ambrogio aveva effettuato a Milano dei Santi Gervasio e Protasio. Bologna era allora molto vicina alla diocesi milanese ed i suoi vescovi erano nominati proprio da Sant’Ambrogio. La scoperta portò ad un ampliamento della prima chiesa cristiana, in quanto i resti dei due martiri vennero traslati in una apposita chiesetta ad essi dedicata detta Martyrium e che oggi è chiamata anche Chiesa della Trinità, collocata nella parte terminale del Tempio di Iside.
A metà del V secolo, all’epoca di San Petronio, che fu vescovo di Bologna dal 423 al 450, il complesso stefaniano era già quindi costituito da tre elementi architettonici, sovrapposti alla pianta originaria del Tempio di Iside: l’attuale Chiesa del Santo Sepolcro, di forma circolare, il Cortile di Pilato ed il Martyrium (o chiesa della Trinità). In sostanza una struttura rettangolare porticata con in testa il ninfeo rotondo costituito da dodici colonne di marmo cipollino del II secolo d.c.
Qualche decennio dopo fu costruita sul lato sinistro del rettangolo la Chiesa dei Santi Vitali e Agricola, dove furono traslati due martiri.
I Longobardi, che entrarono in Bologna nel 727, costruirono un quinto elemento: la Chiesa di San Giovanni Battista (oggi detta del Crocifisso) che è la chiesa dalla quale si accede all’intero complesso. Nel XI secolo fu aggiunta la Cripta, sotto la chiesa del Crocifisso, dove furono nuovamente traslate le salme dei santi Vitale ed Agricola e, tra l’XI ed il XII secolo fu terminato il settimo elemento architettonico, il Chiostro.
Strettamente legata al complesso stefaniano nella simbologia dei luoghi santi è la Chiesa di San Giovanni in Monte, nel medioevo detta di Monte Oliveto, che rappresenta il Calvario nella geografia dei luoghi gerosolomitani bolognesi. Fra il complesso di Santo Stefano e la vicina altura di Monte Oliveto, Petronio avrebbe fatto scavare un fossato che rappresentava la Valle di Giosafat. Qui nel Medio Evo esisteva una chiesetta dedicata a Santa Tecla, oggi scomparsa. Dove è oggi vicolo Pepoli esisteva una piscina per l’allevamento dei pesci chiamato Piscina di Siloe. La via adiacente a Piazza Santo Stefano, oggi via Gerusalemme, rappresentava la strada di ingresso alla città che percorse Gesù Cristo in sella ad un asino.
I comportamenti e le pratiche di viva attenzione verso Gerusalemme, comuni in tutto il medio evo, prendevano sì spunto dalla Gerusalemme terrestre ma miravano, più o meno nascostamente, alla Gerusalemme celeste, simbolo della salvezza eterna. Lo stesso nome delle “Sette Chiese” ha nel numero sette una valenza simbolica e sacrale più che una banale enumerazione delle “chiese” che non sono affatto sette. Il complesso stefaniano può però essere considerato formato da sette elementi architettonici principali, di seguito ordinati secondo il normale percorso di visita:
1) la Chiesa del Crocefisso 2) la Cripta (nella Chiesa del Crocefisso) 3) la Chiesa del S. Sepolcro 4) il Cortile di Pilato 5) la Chiesa della ss. Trinità o del Martiryum 6) la Chiesa dei ss. Vitale ed Agricola 7) il Chiostro e la Cappella della Benda
Gli edifici sono stati continuamente rimodellati nei secoli e quello che è oggi visibile non ècorrispondente alle strutture originarie. In particolare, se le attuali strutture murarie della chiesa di San Giovanni Battista (o del Crocefisso) risalgono effettivamente all'VIII secolo, la chiesa del Santo Sepolcro, originaria del V secolo, fu ristrutturata nel XII secolo e la chiesa dei Santi Vitale ed Agricola (risalente al V secolo) fu rifatta nell'VIII secolo e successivamente nell'XI secolo. I numerosi restauri interpretativi eseguiti verso il 1880 e nei primi decenni del XX secolo hanno inoltre ulteriormente mutato il volto antico del complesso. Dalla piazza Santo Stefano si ha una visione d'insieme che comprende le facciate delle tre chiese del Crocifisso, del Santo Sepolcro e dei Santi Vitale e Agricola.
1)Chiesa del Crocifisso. La Chiesa del Crocefisso (in origine di San Giovanni Battista) è il primo edificio visibile sulla piazza partendo da destra. Fu eretta nel 736-744 per iniziativa dei re longobardi Liutprando ed Ildebrando. L’attuale aspetto della chiesa è però fortemente dipendente dai restauri interpretativi di fine ‘800. All’esterno, il balcone laterale risale al 1488 ed era usato per l’esposizione delle reliquie e le benedizioni al popolo. L’interno è costituito da una sola navata con volta a capriata e presbiterio sopraelevato sulla cripta, in stile romanico lombardo. Entrando a destra ci si imbatte in un primo residuo di affresco deltrecento raffigurante la Madonna con Bambino con San Biagio e San Giovanni Battista, a cui è dedicata la chiesa. Proseguendo sempre a destrapossiamo notare un olio su tela di grandi dimensioni rappresentante il Martirio di Santo Stefano del pittore milanese Pier Francesco Cittadini, allievo di Guido Reni, della metà del ‘600. Entrando a sinistra invece, dopo un Miracolo di San Mauro Abate di Teresa Muratori, si impone all’attenzione la Pietà di cartapesta policroma di Angelo Piò (1690-1770) di rara intensità espressiva. Essa fu ricavata impastando le carte da gioco (soprattuto tarocchi) requisite dalle autorità per porre freno al vizio dilagante. Angelo Piòera uno scultore bolognese operante tra Bologna e Roma. Proseguendo, a fianco della porta che immette nella chiesa del Santo Sepolcro, vi è il monumento sepolcrale della famiglia Aldrovandi del XVI secolo. In un arcata cieca della facciata della cripta vi è un frammento di affresco detto la Madonna del Paradiso di Michele di Matteo del XV secolo. Al centro dell’arco trionfale è sospeso un grande Crocefisso su tavola sospeso firmato Simone de Crocefissi (1380) che dà l’attuale nome alla chiesa. La parte sopraelevata della chiesa, il Presbiterio, è in stile barocco in quanto rinnovata dal Senato bolognese nel 1637, rinnovamento peraltro incompiuto. Vi si trovano tele ad olio raffiguranti la passione di Cristo. Precedentemente alla costruzione del presbiterio si trovava qui una sala rappresentante la Casa di Pilato, con un sedile di pietra dove Pilato era seduto quando interrogava Gesù. All’esterno della chiesa del Crocefisso, sul lato sinistro, si trova una lapide romana con una scritta che dice che un tale Liberto Aniceto, innalzò un’ara ad Iside Vittoriosa, nel nome di Mario Calpurnio Tirone e di Sestilia Armina, sua liberta. Fu rinvenuta nella piazza nel 1299 e sta ad indicare che il tempio romano preesistente era dedicato ad Iside. Altre iscrizioni che indicavano la stessa cosa, di cui una geroglifica, sono andate smarrite negli anni.
2) La Cripta (nella Chiesa del Crocifisso). Vi si accede scendendo i gradini della Chiesa del Crocifisso. Fu costruita nel 1019 per ordine dell’abate Martino e vi furono traslate le spoglie dei Santi Vitale ed Agricola il 3 marzo del 1019. E' composta da 5 piccole navate, separate da colonne marmoree diverse per altezza, per il tipo di marmo utilizzato e per i capitelli. La sua bellezza è racchiusa nelle 12 colonne, di differenti dimensioni ed altezze tanto che per portarle allo stesso livello sono state escogitate le soluzioni più diverse. Una di queste colonne, le seconda a destra, formata di due parti in pietra di marmo bianco, è stata portata, secondo la tradizione, da Petronio, di ritorno da Gerusalemme e rappresenta, dallo zoccolo al capitello, l’altezza di Gesù (circa 1metro e 70, piuttosto elevata per l’epoca). Le spoglie dei Santi Vitali e Agricola si trovano anche oggi nell'urna sopra l'altare. Ai lati dell'altare, pochi anni fa sono stati rinvenuti, sotto uno strato di intonaco, due affreschi cinquecenteschi che illustrano il martirio di Vitale ed Agricola. Nella navatella di sinistra, in fondo presso l'altare, si trova un piccolo affresco di inizio Quattrocento, la cosiddetta Madonna della Neve, forse di Lippo di Dalmasio. Un oggetto di minore pregio artistico ma di una qualche suggestione è la candida statuetta della Madonna Bambina, all'inizio della cripta, sulla parete destra. La cripta rappresenta il luogo dell’Ultima Cena, nella geografia dei luoghi gerosolimitani bolognesi.
3) La Chiesa del S. Sepolcro (o del Calvario) È la costruzione più antica del complesso. Al suo interno è conservata la ricostruzione del Santo Sepolcro di Cristo, realizzata in modo simile a quello voluta da Costantino Monomaco a Gerusalemme. L’edificio esterno ha forma ottagonale mentre l’interno presenta 12 colonne di marmo e laterizio, con al centrol’edicola del Santo Sepolcro. Delle dodici colonne, sette sono di marmo africano, risalenti al II secolo d.c., e sono rimaste nella loro posizione originaria,contornanti il ninfeo del Tempio di Iside. Dove le colonne romane non erano più utilizzabili sono state costruite ex novo colonne circolari più robuste, più altre di supporto. Una colonna di marmo cipollino nero, di origine africana e di epoca romana (anch'essa certamente di riutilizzo da un edificio precedente), scostata rispetto alle altre, simboleggia la colonna ove Cristo venne flagellato e, come si legge in un cartiglio, garantisce 200 anni di indulgenza per ogni volta che si visiti questo luogo (Colonna della Flagellazione). Sta anche ad indicare l’Est, da cui era sorto il sole di Cristo, per chi si trova al centro dell’edicola. L’Edicola, costruita nel XIII secolo, rappresenta il sepolcro di Cristo a Gerusalemme. E’ stata profondamente ristrutturata all’inizio del ‘900. Alla base dell’edicola vi è una sorta di grotta protetta da un basso cancello di ferro che conteneva i resti di San Petronio. Al Centro dell’Edicola, raffigurato in una lastra, l’Angelo della Resurrezione, che dà l’annuncio della resurrezione di Cristo, del XIII secolo. Alla sua destra i tre soldati dormienti vestiti con corazza ed elmo. Sulla sinistra le Tre Marie, esili figure con il capo velato con in mano vasetti di unguento. Alla sinistra dell’Edicola, vi è un Pulpito con altorilevi del XIII secolo che rappresentano i quattro Evangelisti:l’angelo (San Matteo), il leone (San Marco), l’aquila (San Giovanni) ed il Toro (San Luca). A destra dell’edicola una scala in marmo di recente fattura (1883) conduce alla sommità del sepolcro, dove vi sono una croce ed una sindone risalenti ai restauri dell’800. La volta e le pareti della chiesa erano in origine decorate da affreschi duecenteschi, purtroppo quasi del tutto eliminati durante i discutibili ed invasivi restauri di fine Ottocento. Ciò che resta di essi è visibile nel museo della basilica. Si credeva che San Petronio avesse portato da Gerusalemme dei resti murari del vero sepolcro di Cristo e che li avesse fatti incastonare in quello bolognese, insieme a calce fatta con sabbia e ciottoli della Terra Santa. Si tratta di una delle tradizioni che vedono il sapere edilizio come proveniente dai luoghi santi, attraverso i Templari e le logge dei muratori. La porticina del Sepolcro veniva aperta nella settimana santa ed era possibile strisciarci dentro per venerare i resti del Santo ed acquisire l’indulgenza plenaria. Il giorno di Pasqua, prima dell’alba, l’accesso al sepolcro era riservato alle “maddalene”, le numerose prostitute bolognesi, che percorrevano in ginocchio tutta la chiesa del Crocefisso, recitando una speciale preghiera che ricordava il perdono della Maddalena da parte di Cristo. Per il resto dell’anno l’accesso ai luoghi sacri era loro precluso. Sempre nel periodo pasquale, le donne incinta di Bologna praticavano il rito propiziatorio dei “Passi”. Esse solevano camminare pregando intorno al sepolcro ed entrarvi trentatré volte (una per ogni anno di vita del Salvatore) attraverso lo stretto pertugio. Al termine del trentatreesimo giro, le donne si recavano poi nella vicina chiesa del Martyrium per pregare dinanzi all'affresco della Madonna Incinta e nella cappella della Consolazione, davanti alla Madonna delle gravide. Attualmente il sepolcro è aperto il Sabato Santo al termine della veglia pasquale e resta accessibile tutta la settimana. Al termine della messa, presenti i Cavalieri e le Dame dell’ordine equestre del Santo Sepolcro, vi è una cerimonia suggestiva, detta ‘la Ricognizione’. Oggi il corpo di San Petronio non si trova più in questa chiesa perché, nell'anno 2000, il Cardinale Giacomo Biffi lo fece traslare nella basilica di San Petronio, che già custodiva la testa del patrono della città. Nel pavimento della chiesa si trova anche un pozzo ricoperto da una grata che contiene l’acqua di un’antica sorgente che, nella simbologia del complesso stefaniano, basato sulla passione di Cristo, viene identificata con l’acqua del Giordano, e che, dal punto di vista archeologico, rimanda alla sacra fonte del complesso isiaco preesistente, rappresentante il Nilo. Fu considerata nel medio evo un’acqua miracolosa per la guarigione di ogni male. Folle di malati accorrevano a questa sorgente in modo non dissimile a quanto accade oggi a Lourdes. Nel 1307 più di 150 infermi, sordi, muti, ciechi ed indemoniati, guarirono in un solo giorno. L’affluenza era tale che il 22 maggio di quell’anno l’intera piazza venne coperta da tendoni per proteggere i pellegrini giunti da tutti il mondo in attesa di entrare a bere l’acqua benedetta. All’esterno della chiesa del Santo Sepolcro, verso la piazza, a destra del portale spicca la “Pietra della verità” che secondo tradizione cambiava colore sentendo le dichiarazioni delle mogli infedeli. Diverse donne, supposte adultere, furono uccise dai mariti ed allora il vescovo proibì a tutti di avvicinarsi alla pietra che, per prodigio, divenne totalmente opaca.
4) Il Cortile di Pilato
Al Cortile di Pilato, così chiamato per ricordare il luogo dove fu condannato Gesù, si accede uscendo dalla Chiesa del Sepolcro. Il cortile è delimitato a nord e a sud da due porticati in stile romanico con caratteristiche colonne cruciformi di mattoni e reca al centro una vasca in pietra calcarea poggiata su un piedistallo, il cosiddetto "Catino di Pilato", il Santo Graal bolognese. E’ una vasca di marmo, a forma di calice, di produzione longobarda risalente al 730-740 e reca un'iscrizione sotto il bordo:
« + VMILIB(us) VOTA SVSCIPE D(omi)NE DDNNR LIVTPRAN ET ILPRAN REGIB(us) et D(om)N(o) BARBATV EPISC(opo) S(an)C(te) HECCL(esie) B(o)N(onien)S(i)S HIC IHB SVA PRECEPTA ORTVLERVNT VNDE VNC VAS IMPLEATVR IN CENAM D(omi)NI SALVAT(ori)S ET SI QVA MVNAC MINVERIT D(eu)S REQ(uiret) »
Il significato dell’iscrizione è oscuro. Fu donata dal Re Liutprando alla Basilica. Il nome di Pilato fu probabilmente associato a questa opera dopo il Mille, quando a Bologna vi fu una forte rivisitazione della Passione del Signore. Rappresenta, nella simbologia del Santo Sepolcro, il catino dove Pilato si lavò le mani della condanna di Gesù. Lungo il porticato che circonda il cortile sono poste alcune lapidi mortuarie, alcuni affreschi e delle cappelle. Sotto il porticato, al centro di una finestra, su una colonna, c'è un gallo di pietra risalente al XIV secolo, chiamato "Gallo di S. Pietro" per ricordare l'episodio evangelico del rinnegamento di Gesù. Sempre sotto il porticato è possibile osservare alcune lapidi mortuarie tra le quali una ha incastonate un paio di forbici, appartenenti ad un sarto, del XIV secolo. Sopra la tomba del sarto, incorniciati in una struttura di legno e vetro, tre volti affrescati rappresentanti Gesù, Maria e San Giovanni, del misterioso pittore Jacobus del XIV secolo. A lato del cortile si apre la Cappella della Consolazione contenente la famosa Madonna delle Gravide, dove le donne bolognesi incinta vengono a pregare per la loro gravidanza. Nella cappella di San Girolamo, a cui si accede da un portale in arenaria, si trova il dipinto di Giacomo Francia rappresentante il Crocifisso con la Maddalena e due Santi che sono San Girolamo e San Francesco, del 1520. Giacomo Francia era il figlio maggiore del più famoso Francesco Raibolini detto “il Francia”. Usciti dalla cappella, da una porta a due battenti in legno, si accede alla Cappella della Beata Vergine di Loreto (oggi sacrario degli aviatori) e alla Società dei Lombardi. La Società dei Lombardi è la sede di un’antica compagnia d’armi sorta intorno al 1150 ed ancora oggi in vita. Associava nobiluomini lombardi e trevigiani che si incontravano in origine nella chiesa di San Vitale ed Agricola. La compagnia si riunisce ancor oggi la prima domenica di febbraio di ogni anno per assistere alla messa della Purificazione della Vergine, eleggere le cariche annuali e distribuire candele e focacce, secondo un antico rito di origini oscure. Di essa fanno parte i figli maschi di cinquanta nobili famiglie. Quando una famiglia non ha più discendenza maschile essa viene sostituita, in modo da mantenere costante il numero di membri. L’attuale sede fu consegnata alla Compagnia da Papa Lambertini (il bolognese Benedetto XIV) nel 1775 e conserva molte opere d’arte del XIV e XV secolo tra cui Santa Caterina d’Alessandria di Simone di Filippo detto dei Crocefissi, San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista e Santa Maria Maddalena Sulle pareti del Cortile di Pilato si trovano vari simboli disegnati con i mattoni tra cui la corona di alloro, simbolo di Santo Stefano, il cui nome in greco significa incoronato. Dal Cortile di Pilato si accede ad un ambiente detto Chiesa della SS. Trinità o del Martyryum.
5) La Chiesa della Ss. Trinità o del Martiryum L’attuale Chiesa della SS. Trinità (o del Martyrium) è un rifacimento di inizio secolo ricordante una costruzione in parte paleocristiana ed in parte romanica. Non si presenta come una chiesa ma come un porticato alla fine del cortile di Pilato. Fu la sede in cui vennero collocate inizialmente le spoglie di San Vitale ed Agricola. Ingrandita intorno al XVI sec. fu portata all'aspetto attuale dal Collamarini, nel 1912. Di grande interesse, nella prima cappelletta a sinistra, il Presepio in legno dipinto di Simone dei Crocefissi, del 1370. Si tratta di uno dei più antichi presepi al mondo, pregevole per la sua fattura e, soprattutto, per la colorazione originale, ancora intatta, che copre l'intera superficie delle statue. Melchiorre, rappresentato con una lunga barba, offre l’oro dentro una coppa. Baldassare, coronato, con una veste rossa ed in posa solenne, dona la mirra mentre Gaspare, rappresentato come giovane imberbe,reca l’incenso. Sul pavimento si trova una tomba con inciso il nome di Julia Afrodite. Contiene i resti di una donna imbalsamata del V secolo morta a 29 anni. Nella chiesa ci sono anche brani d'affreschi trecenteschi, tra cui uno che raffigura Sant'Orsola con le sue 50 compagne di martirio ed un altro una Madonna incinta che, oltre ad essere di pregevole fattura, commuove per il gesto amorevole con cui si accarezza la prorompente pancia. L'altra mano della Vergine regge un libro. L'ultima cappelletta a destra è stata dedicata, in tempi recenti, ai Bersaglieri, ma è priva di contenuti artistici.
7) La Chiesa dei Ss. Vitale ed Agricola Ha un aspetto mistico e semplice, dovuto al mantenimento dei suoi caratteri romanico-longobardi. Risale ai primi secoli dopo Cristo, quando a Bologna si formarono i primi gruppi cristiani, ma negli anni è stata distrutta e ricostruita varie volte. Le colonne che sostengono le volte delle tre navate, sono decorate con capitelli di origine diversa. All’esterno, in alto al centro del portale, è incastonata una Croce di Santa Ildegarda, a cinque braccia, simbolo dell’uomo a braccia aperte e gambe divaricate. L’uomo-croce era spesso usato nel medioevo per indicare il pentacolo, simbolo della perfezione. Santa Ildegarda era una veggente medioevale famosa per le sue profezie. In un certo periodo, la chiesa fu dedicata a San Pietro, visto che, nel corso dei restauri del 1141, era stato rinvenuto un sepolcro paleocristiano recante la scritta "Symon". All’inizio del ‘400 si sviluppò un culto di San Pietro fondato sulla ipotesi che quella fosse la tomba di Simon Pietro. Questa notizia, priva di qualsiasi fondamento storico, attirò numerosi pellegrini, distraendoli da Roma, la metà classica di pellegrinaggio. Il Papato, allora, reagì con veemenza, facendo addirittura scoperchiare la chiesa e ricoprendola di terra. Solo dopo circa settanta anni, nel 1493, il papa Alessandro VI permise di ripristinare l’edificio, a patto che ne venisse cambiata la sua dedicazione. All'interno della chiesa vi sono resti di pavimento musivo romano, visibili attraverso un vetro, due sarcofagi altomedievali che la tradizione vuole fossero quelli di Vitale ed Agricola, con figure di animali (leoni, cervi e pavoni) in rilievo schiacciato. In quello di Agricola sono rappresentati un cervo ed un leone che si fronteggiano in una sorta di gioco a cui partecipano degli uccelli, in una rappresentazione di un paradiso ritrovato della visione profetica di Isaia. Nella navata destra, sulla parete, una croce viene identificata come quella del supplizio di Sant'Agricola (in realtà risale ad un'epoca successiva). Agricola fu fra i primi bolognesi a convertirsi al cristianesimo. Apparteneva ad una ricca famiglia locale ed era un uomo buono e generoso, anche con i servi. Fra questi egli prediligeva Vitale, che accompagnava spesso il padrone. Vitale era tanto devoto ad Agricola che ben presto si fece pure lui cristiano. Nella persecuzione dell’imperatore Diocleziano e Massimiano (305 d.c.), Vitale ed Agricola furono messi in prigione e martirizzati. Il giudice romano comandò che Vitale fosse torturato per primo per cercare di salvare il nobile Agricola, sperando che rinnegasse la Fede nel vedere il servo torturato con ferri roventi e chiodi appuntiti. Vitale morì tra i tormenti ma Agricola non cedette né alle esortazioni né alle minacce. Allora il giudice fece portare Agricola nell’arena ed ordinò che venisse torturato come il servo. Infine lo fece inchiodare su di una croce. Agricola spirò dopo aver invocato il nome di Gesù. I corpi dei due martiri vennero sepolti nei pressi dell’arena. Solo 87 anni dopo se ne rinvennero le reliquie che furono poi custodite in Santo Stefano. Nel 768 Carlo Magno venne a Bologna, dove assistette alle feste religiose in onore dei Santi Vitale e Agricola, e portò alcune delle loro reliquie a Clermont, in Francia.
7) Il Chiostro ed il Museo (Cappella della Benda) Lo stupendo chiostro di Santo Stefano si deve alla presenza dei monaci benedettini. E' costruito a due ordini: nel "porticato" inferiore potevano pregare i laici, mentre il loggiato superiore era riservato ai monaci, segno quindi di clausura monastica. I due ordini di archi non furono però costruiti nello stesso periodo, ma probabilmente a distanza di un paio di secoli. Le arcate inferiori sono molto più possenti mentre il loggiato superiore, con le sue sottili colonne binate è più slanciato. Al centro del chiostro vi è un pozzo in arenaria, costruito nel 1632. Il livello inferiore (probabilmente di poco anteriore al Mille) è caratterizzato da ampie aperture ad arco preromaniche; quello superiore è costituito invece da un colonnato in stile romanico-gotico. Interessanti certi capitelli mostruosi, particolarmente due (uno rappresentante un uomo nudo schiacciato da un enorme macigno, un altro raffigurante un uomo con la testa girata di 180 gradi), i quali avrebbero ispirato alcune forme di espiazione descritte nel Purgatorio al giovane Dante Alighieri. Dante fu a Bolognanel 1287 per frequentare l’Università e si dice si recasse spesso nel chiostro di santo Stefano, affascinato dalla atmosfera che lo pervadeva. Dal chiostro è ben visibile anche il campanile del complesso, originario del XIII secolo, ma sopraelevato nell'Ottocento. Sotto al portico del lato settentrionale del chiostro è situata l'entrata del museo di Santo Stefano. Il museo è costituito dalla vecchia sacrestia e dalla cappella della Benda. L'antica cappella della Benda viene così chiamata perché vi si trova una striscia di tela, che la tradizione vuole sia stata usata dalla Vergine Maria durante il supplizio di Gesù. La cappella fu restaurata nel 1973, e dal 1980 è adibita a museo. Vi sono dipinti di vari santi, opera di Simone dei Crocifissi, provenienti da uno o più polittici smembrati; le storie della vita di San Petronio, attribuite a Michele di Matteo; il reliquiario della testa di San Petronio, opera di oreficeria di Jacopo Roseto del 1380; una Madonna con il Bambino e San Giovannino dipinta da Innocenzo da Imola nel XVI secolo; l'affresco della Strage degli Innocenti di scuola lucchese del XIII secolo, parte del ciclo decorativo della cupola del Santo Sepolcro. Subito dopo il Museo si trova la Farmacia,dove si trovano curiosità e produzioni locali dei monaci. I monaci benedettini di Santo Stefano erano molto famosi per la produzione dei loro codici miniati. Forse il più bello è il Codice Angelica, conservato a Roma. I codici liturgici presentano chiari influssi cluniacensi, simili a quelli che si possono trovare nei codici camaldolesi.
Le reliquie Le reliquie principali del Complesso di Santo Stefano furono il corpo di San Petronio, quelli dei martiri Vitale ed Agricola e la Benda della Vergine. San Petronio volle essere seppellito nella chiesae qui rimase fino al 2000. Nel 1743 i monaci dovettero piegarsi a cedere alla chiesa di San Petronio la testa del santo, a causa dell’intervento del papa bolognese Prospero Lambertini (Benedetto IV). Nel 2000 anche il corpo del santo fu trasferito in San Petronio e da allora l’edicola che lo conteneva è rimasta vuota. Fino a quell’anno il giorno precedente la festa del Patrono, il 4 ottobre, Santo Stefano concedeva al vescovo le spoglie di San Petronio per permettere i festeggiamenti nella grande chiesa a lui dedicata. Ma, nel pomeriggio del 4 ottobre, con grande processione di popolo, le reliquie tornavano in Santo Stefano. Oltre alle reliquie dei protomartiri e di S. Petronio, un tempo vi era anche un grosso frammento della Vera Croce, da alcuni considerato un regalo dell’imperatore Teodosio a San Petronio e da altri una reliquia portata dai Templari bolognesi, conservata nel Martyrium. Vi erano inoltre un dente di Santo Stefano, raccolto da San Paolo dopo la sua lapidazione, il piede sinistro di Santa Caterina, un orecchio di Sant’Agata, un crocifisso miracoloso che sgorgò sangue quando fu colpito da un pugnale di un ebreo, un chiodo della Croce. Queste ultime reliquie andarono perdute nel corso dei secoli. La Benda della Madonna fu scoperta nel XII secolo dal vescovo Enrico della Fratta, durante le ricerche del corpo di San Petronio. La tradizione voleva che San Petronio l’avesse portata con sé da Gerusalemme. Essa si ritiene imbevuta del sudore di Cristo. Il lunedì di Pasqua veniva mostrata al popolo dal pulpito esterno della Chiesa del Crocifisso. In questo caso a tutte le prostitute era interdetto l’accesso alla piazza ed ai vicoli in modo che non potessero vedere la reliquia. Nel 1613 la reliquia fu rubata da un giovane chierico che fuggì a Venezia per venderla. Ma la reliquia era troppo famosa e 13 giorni dopo il furto la reliquia fu ritrovata. La storia delle reliquie fu segnata da un evento bellico, l’invasione degli Ungari. Nel 899 gli Ungari arrivarono alle porte di Bologna e saccheggiarono la Basilica che si trovava fuori dalle mura di selenite che proteggevano la città. Gli Ungari erano bande a cavallo che si muovevano come predoni e nella vicina abbazia di Nonantola, tra Modena e Bologna, uccisero tutti i monaci e depredarono tutto il depredabile. Non si conoscono i danni del loro attacco a Santo Stefano ma sta di fatto che le reliquie residue furono nascoste molto accuratamente. Furono ritrovate solo nel 1141 nel corso del primo ingente restauro dell’antico complesso. Molte delle reliquie furono però asportate ed andarono perdute durante i secoli.