La luciferasi: Lucifero possiede il segreto della vita?
Un materiale si dice luminescente se emette luce propria di origine non termica. La luminescenza può essere dovuta a vari motivi tra cui quello chimico (come nelle lucciole) o fisico (fluorescenza e fosforescenza). Si ha fluorescenza quando il materiale è colpito da una radiazione incidente che viene riemessa in tempi molto brevi. La fosforescenza è un fenomeno analogo ma dove la riemissione della luce può avvenire anche molto tempo dopo che il materiale ha assorbito la radiazione, fino a diverse ore dopo. Si tratta in entrambi i casi di un effetto quantistico. Un elettrone è colpito da un’onda elettromagnetica in genere nello spettro ultravioletto, ne assorbe l’energia e si sposta su un orbitale più esterno. La spiegazione del come fosse possibile che un elettrone, colpito da un fotone si spostasse dal suo stato verso un’orbita più esterna, fu data da Einstein solo nel 1905, spiegazione che gli frutto il Premio Nobel nel 1921 per la scoperta del cosiddetto ‘effetto fotoelettrico’. La scoperta di Einstein è quella che permette ai moderni pannelli fotovoltaici di trasformare direttamente l’energia solare in energia elettrica.
Nell’ambito della luminescenza di tipo chimico, la luciferasi è un nome generico per enzimi che provocano luminescenza. Il più famoso è quello della lucciola. La reazione luminosa prodotta dalla ossidazione delle luciferine, che sono dei pigmenti, è grandemente accelerata dalla presenza della luciferasi, l’enzima che fa da catalizzatore. Luciferine e luciferasi non sono molecole specifiche ma nomi generici per un substrato per l’enzima associato, che è una proteina. La reazione è molto efficiente per cui quasi tutta l’energia liberata è trasformata in luce. Si tenga presente che nelle comuni lampadine quasi il 90% dell’energia è perduto in calore e solo il 10% è trasformato in luce. La luciferasi può essere prodotta in laboratorio ed inserita in organismi viventi, soprattutto unicellulari, che diventano così luminosi. Nell’ambito della luminescenza di tipo fisico, la Proteina Fluorescente verde (Green Fluorescent Protein o GFP) è invece una proteina espressa dalla medusa Aequorea Victoria che, se colpita da una radiazione incidente di una certa lunghezza d’onda, emette una luce di colore verde acceso, La GFP è composta da 238 amminoacidi. Il suo cuore fluorescente è costituito dal tripeptide Ser 65 - Tyr 66 –Gly 67, circondato da una struttura protettiva fatta a barilotto. La sua fluorescenza non è dovuta ad una reazione chimica, come quella della luciferasi-luciferina, ma da una reazione fisica di fluorescenza che non richiede né substrati né di pigmento né enzimi. Essa è quindi molto usata come marcatore nelle indagini subcellulari. In questi studi la sequenza nucleotidica della GFP viene fusa con quella di una certa proteina X da identificare. E’ quindi possibile seguire il comportamento della proteina in ogni sua fase.
Il Premio Nobel per la Chimica 2008 è stato assegnato a Osamui Shimomura, Martin Chalfie e Roger Tsien, per la scoperta della proteina fluorescente verde Gfp. Tutti e tre i premiati lavorano negli Stati Uniti. Questa proteina è diventata uno degli strumenti più importanti delle bioscienze contemporanee. Con l’aiuto della Gfp i ricercatori hanno sviluppato metodi per analizzare sostanze sino a quel momento invisibili, per seguire lo sviluppo delle cellule nervose del cervello o la diffusione delle cellule del cancro.